Patriarcháty Pentarchie 3. Patriarchát Antiochia

I PATRIARCATI DELL’ANTICA PENTARCHIA
3. IL PATRIARCATO DI ANTIOCHIA

(Stemma del Patriarcato Maronita di Antiochia)

Secondo la tradizione la sede vescovile, poi patriarcale, di Antiochia fu fondata dall’apostolo Pietro. La successione patriarcale entrò in contestazione fra le opposte fazioni dopo il Concilio di Calcedonia del 451, quando c’erano rivali melchiti e pretendenti non calcedoniani alla sede ma fu solo dal 518 in poi che Antiochia iniziò ad avere contemporaneamente diversi Patriarchi, appartenenti a comunità religiose separate da dispute politiche o teologiche, di cui sono continuazione gli odierni Patriarcati greco-ortodosso (calcedoniano) e quello ortodosso-siriaco (monofisita o non calcedoniano).

Dopo la prima crociata, nel 1098, la Chiesa cattolica iniziò a nominare pure un patriarca di rito latino di Antiochia, anche se questo divenne in breve solo titolare dopo la caduta di Antiochia nel 1268 e fu abolito completamente nel 1964.

Per un breve periodo vi fu un patriarcato congiunto, latino e greco, quando Antiochia tornò sotto il controllo bizantino dell’Imperatore Manuele I Comneno, ma per la maggior parte del tempo vi fu solo il Patriarca Latino che rimase ad Antiochia finché il principato non fu conquistato dai Mamelucchi, nel 1268, dopodiché, mentre il patriarca greco Teodosio IV tornò ad Antiochia, il titolo di Patriarca Latino divenne solo nominale, ma fu mantenuto per parecchi secoli con sede nella Basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma, per aiutare, proteggere e mantenere in contatto con Roma le piccole ed isolate comunità cristiane in Medio Oriente, fino alla definitiva abolizione nel 1964 ad opera di Paolo VI, dopo undici anni di sede vacante a seguito della morte dell’ultimo Patriarca Roberto Vicentini, vicario del cardinale arciprete della Basilica di San Pietro in Vaticano.

(Władysław Michał Bonifacy Zaleski, penultimo Patriarca Latino titolare di Antiochia dal 1799 al 1803)

Attualmente cinque Patriarchi di Chiese diverse, tre cattoliche e due non cattoliche, portano tale titolo, ma nessuno di questi risiede effettivamente ad Antiochia: nel corso dei secoli, infatti, le sedi apostoliche sono state trasferite a causa di persecuzioni e scismi.

Quello storicamente più antico è il Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia e tutto l’Oriente, autocefalo e calcedoniano, cioè che ha accettato le conclusioni del concilio di Calcedonia sulla natura divina ed umana di Cristo, il quale rappresenta la principale erede del cristianesimo siriaco, attualmente guidato dal patriarca Giovanni X Yazigi e attualmente conta circa 4 milioni di fedeli.

(Giovanni X Yazigi, Patriarca Greco-Ortodosso di Antiocha)

Ad esso si contrappone il Patriarcato ortodosso-siriaco di Antiochia, non calcedoniano, guidato da Ignazio Aphrem II: entrambi si contendono il titolo di legittimo erede della comunità cristiana fondata dagli apostoli Pietro e Paolo.

(Ignazio Aphrem II, Patriarca ortodosso siriaco di Antiochia)

Le cause di tale controversia sono lontane nel tempo. Fino al Concilio di Calcedonia (451) la chiesa di Antiochia era unita. Da quel concilio nacquero delle controversie cristologiche che la divisero. Dopo la scissione, coloro che aderirono al monofisismo mantennero il loro rito siriaco e fondarono la Chiesa ortodossa siriaca. I siriaci che rimasero fedeli al Concilio di Calcedonia e all’imperatore bizantino adottarono, invece, il rito bizantino, che la Chiesa greco-ortodossa di Antiochia utilizza tutt’oggi per la Divina Liturgia.

La Chiesa ortodossa siriaca è sovente chiamata „Giacobita“, in onore del suo fondatore, Giacomo Baradeo o Monofisita, ma queste definizioni sono state respinte oggi da alcune Chiese. Un Sinodo tenutosi nel 2000 ha stabilito che il nome della Chiesa debba essere „Chiesa ortodossa siriaca“. Prima di ciò essa era spesso chiamata „Chiesa ortodossa siriana“. Il nome è stato cambiato per distinguere la Chiesa dallo Stato siriano.

La Chiesa Ortodossa Siriaca, tuttavia, si distingue dalle altre Chiese ortodosse in quanto aderisce alla dottrina del Primato di Pietro, ma con una particolarità. Ritiene infatti che il primato di Pietro debba essere definito “primato d’onore” piuttosto che “primato d’autorità”.

Accanto a questi due Patriarcati non cattolici coesistono, poi, oggi, tre comunità cattoliche, tutte con un proprio Patriarca di Antiochia: la Chiesa cattolica sira (dal 1662, a seguito del ritorno alla piena comunione con Roma di alcune comunità della chiesa ortodosso-siriaca), la Chiesa maronita (dal 686, quando questa comunità decise, con il Patriarca Giovanni Marone, di restare fedele a Roma, dalla quale non si è mai separata) e la Chiesa cattolica greco-melchita (dal 1724, quando una parte della chiesa greco-ortodossa decise di tornare in piena comunione con Roma). Tutti e tre questi Patriarchi rivendicano il possesso del patriarcato ma si riconoscono mutuamente come detentrici di autentici patriarcati, dato che sono in piena comunione con la Chiesa cattolica.

A partire dal XVII secolo l’opera congiunta dei missionari gesuiti e cappuccini aveva portato diversi singoli e gruppi della Chiesa ortodossa siriaca a ristabilire la piena comunione con la Chiesa cattolica. Nel 1662 la comunità sira di Aleppo, che aveva aderito in massa al cattolicesimo, elesse come patriarca il proprio vescovo Ignazio Andrea Akhidjan (1662-1677), con il titolo di Patriarca di Aleppo; con la mediazione del console francese, egli ottenne dal governo turco il riconoscimento a capo della nazione (millet) siriaca. Il suo successore, anch’egli in comunione con Roma, Ignazio Pietro VI Chaahbadine (1677-1702), subì diverse persecuzioni e fu infine espulso dal governo turco, perché accusato di essere al soldo della Francia.

(Ignazio Andrea I Akhidjan primo patriarca della Chiesa cattolica sira)

L’esigua comunità siro-cattolica (nel 1768 si contavano in tutto 200 famiglie uniati) rimase così senza un vertice fino al 1783, quando a Roma quattro vescovi siri proclamarono patriarca Ignazio Michele III Jarweh (1783-1800). La sua elezione però non fu riconosciuta né dalla Chiesa ortodossa né dal governo turco. Fu eletto un nuovo patriarca ortodosso e Jarweh dovette rifugiarsi nel monastero di Cherfé, in Libano. Tuttavia, fu riconosciuto da Roma come patriarca dei siro-cattolici con il titolo di Patriarca di Antiochia (mentre i due precedenti avevano quello di Aleppo).

Il patriarcato estende la sua giurisdizione su tutti i fedeli cattolici siri che dimorano nel territorio proprio della Chiesa cattolica sira, ossia nelle regioni che tradizionalmente sono riconosciute come il luogo di origine di questa Chiesa sui iuris.

(Ignace Joseph III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri)

Dall’inizio del XX secolo sede del patriarca è la città di Beirut. Diocesi propria del patriarcato è l’eparchia di Beirut dei Siri, dove si trova la cattedrale patriarcale dell’Annunciazione.

Come per i non calcedoniani anche per i greco-ortodossi si sviluppò nel tempo un movimento di riunione con la Chiesa Cattolica e nel XVII secolo le missioni cattoliche in Medio oriente sostennero il movimento di vescovi, clero e fedeli delle chiese ortodosse locali che iniziavano a vedere con favore un ritorno nel seno della cattolicità, anche per godere della protezione accordata dai sultani ottomani ai cattolici in base al regime delle Capitolazioni siglate da Solimano il Magnifico con il re di Francia Francesco I.

Nel 1709, Cirillo III, patriarca greco-ortodosso di Antiochia, riaffermò l’autorità del Papa. Le comunità ecclesiali locali si divisero tra chi vedeva nel riconoscimento del primato romano un’occasione di salvezza e chi considerava i missionari latini incapaci di comprendere la tradizione orientale. Nel 1724 la parte di clero favorevole al ritorno sotto l’autorità spirituale dichiarò formalmente l’unione con la Santa Sede ed elesse il primo Patriarca melchita di Antiochia, Cirillo VI Tanas.

Con Leone XIII (1878-1903) e l’enciclica “Orientalium Dignitas” i rapporti tra la Santa Sede e le comunità cattoliche di rito bizantino si consolidarono e durante il Concilio Vaticano II, Massimo IV, patriarca melchita di Antiochia, contribuì all’apertura del dialogo con la Chiesa ortodossa.

(Youssef Absi, Patriarca Melchita di Antiochia, di Gerusalemme e di tutto l’Oriente)

Il Patriarcato Melchita di Antiochia ha un particolare legame con l’Ordine di San Lazzaro, in quanto i Patriarchi Melchiti, dalla metà dell’ottocento, ricoprono ininterrottamente la carica di Protettori Spirituali dell’Ordine.

La terza comunità cattolica, il cui capo porta il titolo di Patriarca di Antiochia, è quella maronita.

Riti e liturgia fanno parte della tradizione siriaca e la lingua liturgica tuttora adottata è il siriaco. Il titolo «Mar» significa “santo” in aramaico. I patriarchi maroniti portano come secondo nome «Boutros», in riferimento a San Pietro, fondatore della Chiesa di Antiochia.

Quella maronita è l’unica Chiesa d’Oriente rimasta sempre fedele alla Sede Apostolica. Conserva un elemento di autonomia, come le altre chiese cattoliche orientali patriarcali: il patriarca viene eletto dal Sinodo dei vescovi e soltanto dopo l’elezione fa professione di comunione con il pontefice romano.

Il sinodo patriarcale della Chiesa maronita nel 2003-2004 ha identificato cinque elementi distintivi della Chiesa maronita:

–   è antiochena;

–   è calcedoniana (riconosce le deliberazioni conclusive del Concilio di Calcedonia del 451);

–   è patriarcale e monastica;

–   è fedele alla Cattedra di san Pietro a Roma;

–   è fortemente radicata in Libano.

La Chiesa maronita prende il nome dal suo fondatore, san Marone († 410), un asceta siriaco amico di Giovanni Crisostomo che la istituì nel IV secolo. Dopo la sua morte, nel 452 i suoi discepoli costituirono un monastero nei pressi del suo sepolcro, ad Apamea, sulle rive del fiume Oronte. Fin dalle origini la comunità maronita seguì il Patriarca di Antiochia. Quando la regione divenne a maggioranza monofisita (V-VI secolo), la comunità dovette trasferirsi in una regione più interna del Libano.

Nel VII secolo la comunità maronita fu rifondata e organizzata da un santo monaco, l’abate del monastero di Brad, in Siria. Giovanni Marone fu il primo maronita a ricoprire la dignità episcopale; l’ordinazione avvenne nel 676 e in seguito – nel 685 – fu eletto Patriarca di Antiochia. Fu il primo maronita a ricoprire questo incarico. Per sfuggire a una persecuzione, decise di lasciare la Siria e dirigersi verso il Libano.

Dopo il 685 la Chiesa di Antiochia si divise tra calcedonesi e non calcedonesi, che divennero la maggioranza. La comunità maronita scelse di rimanere calcedonese e non si riconobbe più nel patriarca Teofane. Iniziò un periodo di autonomia ed i monasteri diventarono sedi vescovili.

All’epoca delle Crociate la Chiesa maronita riallacciò i rapporti con la Chiesa di Roma, da cui non si era mai formalmente separata. L’unione venne suggellata alcuni secoli dopo, nel 1584, con la fondazione, durante il pontificato di Gregorio XIII, del Collegio maroniano di Roma.

Quando il Libano ottenne l’indipendenza, nel 1943, i poteri del nuovo stato furono ripartiti fra le principali comunità religiose. I maroniti, che costituivano la maggioranza relativa della popolazione, ebbero la presidenza della repubblica, carica che hanno continuato a detenere fino ad oggi.

Il Patriarcato di Antiochia dei Maroniti ha sede a Bkerké, in Libano; il patriarca ha il titolo di „Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente“, sebbene sussistano dubbi circa il suo diritto di fregiarsi del titolo antiocheno, diversamente dagli altri quattro Patriarchi di Antiochia (siriaco-ortodosso, greco-ortodosso, siro-cattolico e greco-cattolico), le cui origini sono direttamente legate alla storia della grande città siriaca.

(Il cardinale Béchara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente dei Maroniti)

L’attuale patriarca è anche il quarto cardinale maronita nella storia della Chiesa cattolica, continuatore in tale posizione dei suoi tre predecessori.

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